di Marco Bonetti
Avvocato, storico e collaboratore di varie riviste
Viaggiando lungo le coste anatoliche non è infrequente incontrare monumenti, fortificazioni e altre vestigia medievali lasciate dal mitico popolo dei Cenevizliler (Genovesi). Il Governo turco da anni candida al riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità Unesco nove siti fondati dai Genovesi: otto stazioni fortificate sulle rotte mercantili dal Mediterraneo al Mar Nero e la famosa Torre di Galata, costruita nel 1348. Con i suoi 67 metri è uno degli edifici storici più alti di Istanbul. È larga sedici metri. Le mura sono spesse quattro. Oggi è sede di un museo multimediale sulla storia della città e dei rapporti tra la Repubblica di Genova e l’Oriente. Galata è ora il centro storico del cosmopolita quartiere di Istanbul, Beyoğlu.
A Genova è labile la memoria di questo glorioso passato. Ma i Turchi non dimenticano i Genovesi antichi (ben più sagaci dei moderni). Detta anche Pera, Galata, popolosa città, sorse nel cuore dell’Impero bizantino, sull’estrema riva europea prima dell’Asia: di fronte a Costantinopoli, sul Corno d’Oro, ma anche affacciata sullo Stretto del Bosforo, passaggio obbligato per le rotte navali tra Mediterraneo, Mar di Marmara e Mar Nero. Le rive del Mar Nero tra fine Duecento e metà del Quattrocento erano punteggiate di decine di colonie commerciali genovesi. Galata fu dunque il centro nevralgico della vasta rete coloniale in Oriente di quell’Impero di Genova – una talassocrazia opposta a quella veneziana, basata su fitte relazioni marittime e commerciali – di cui si è trattato un anno fa nel Convegno internazionale di medievisti tenutosi a Palazzo Ducale, nell’ambito del Progetto IANUA – Genova nel Medioevo, coordinato da Antonio Musarra. Dal 1273 Galata fu amministrata in autonomia dai Genovesi per quasi due secoli. Ma, anche dopo la conquista di Costantinopoli e dell’Impero Romano d’Oriente da parte degli islamici Turchi (1453) – convertito così in Impero Ottomano –, Galata-Pera continuò a essere l’enclave europea di Istanbul, sotto protezione del Sultano. E il principale centro d’affari dell’Impero.
A consentire l’insediamento di Galata fu il Trattato di Ninfeo del 13 marzo 1261, con il quale si stabilì una strategica alleanza tra Repubblica di Genova e Impero d’Oriente. Durò due secoli, nei quali la Superba seppe mantenere una posizione egemonica nei lucrosi commerci con il Mar Nero, prima monopolio di Venezia. Alle sue numerose, prospere colonie tra delta del Danubio e foce del Don, in Crimea, nel Mar d’Azov, in sei mesi di marcia affluivano dall’Estremo Oriente le carovane della Via della Seta con i loro preziosi carichi di merci, stivati poi sulle navi mercantili genovesi. Il porto di Soldaia (Sudak) ne poteva ospitare anche duecento. Il centro coloniale principale sul Mar Nero era Caffa, capitale della cosiddetta Gazaria genovese (la fascia litoranea della Crimea, a confine con l’Impero mongolo). A raccontarci l’avventurosa esistenza di questa comunità genovese dopo la caduta di Costantinopoli, in un quadrante geopolitico così distante dalla madrepatria, e ormai così diverso per usi e cultura, ci ha pensato Agostino Carlo Segalerba, 75 anni, da decenni cultore della materia con puntuali ricerche d’archivio e sul campo (in occasione di frequenti viaggi ad Istanbul) e curatore del partecipato Gruppo Facebook Galata dei Genovesi. Il suo ultimo, avvincente libro, Galata – Da genovese a ottomana (Galata Editore), è un testo agile ma esaustivo, ricco di illustrazioni, in cui tutto – persino il nome dell’Editore – riconduce all’avventura storica di quest’enclave genovese d’Oriente di cui si possono ammirare ancor oggi i monumenti, ma anche cogliere vive testimonianze nei discendenti della comunità italo-levantina che tuttora, in silenzio, a distanza di oltre sette secoli, si perpetua in Turchia. Il nuovo libro fa seguito a Galata dei Genovesi – 1267-1453 (2022, Galata Editore), con il quale l’autore aveva iniziato a colmare un’inspiegabile lacuna nella letteratura divulgativa storica.
